R.S.I. Il Q.G. DEL DUCE SUL GARDA
Nino Arena
Trascritto dal Cyberamanunense
Fabrizio.
Venne riduttivamente chiamata dagli avversari politici e dai
pennivendoli del "palazzo" Repubblica di Salò, repubblichini
i suoi sostenitori.
In realtà il fine riduttivo e denigratorio si riferiva
ad un territorio inizialmente pari a 2/3 della superficie nazionale dell’epoca,
con una popolazione eguale al 65% dell'intera Italia, abitante in 64 provincie
amministrate dal governo repubblicano.
Le rimanenti 31 provincie dell'Italia meridionale e insulare,
a seguito dell'invasione, erano sotto il controllo dell'A.M.G.O.T. quindi
1/3 circa senza sovranità. Persino nella sua più ridotta
dimensione finale, il territorio della R.S.I. risultava più ampio
di quello riconsegnato dagli alleati al governo del sud nel 1945 e, confronto
indicativo, maggiore di quello della Confederazione elvetica e della Repubblica
d’Irlanda messe assieme.
I sostenitori della R.S.I. infine, così come testimoniato
dagli stessi nemici di allora, hanno rappresentato una componente degna
del massimo rispetto. I sarcasmi dei vari Stevens, Calosso, Cassuto, Foà,
Treves, Marus, Ruggero Orlando e via elencando, non possono scalfire la
verità, ben più degna di siffatti prezzolati.
Persino una parte significativa dei prigionieri italiani più
lontani, che non avevano vissuto in Patria la tragedia dell'armistizio
e che rifiutarono, per coerenza etica, ogni accordo col nemico dichiarato,
la riconobbero come la vera Italia e furono ammirati e apprezzati dal nemico.
Questa è storia ormai scritta, poiché nessuno,
se non per abietti motivi di parte, ha mai messo in forse l'esistenza e
l'azione di governo della R.S.I. nel bene e nel male, la sua partecipazione
al conflitto, la sua funzione storica di Stato contraltare del Reich occupante,
la sua tragica fine non rifiutata dai suoi fedeli ma dignitosamente affrontata.
Molti studiosi italiani e stranieri si sono interessati delle
sue vicende e crescente è oggi la ricerca per approfondire il tema
specifico, sì che la bibliografia si arricchisce ogni anno, offrendo
una visione più completa.
Interessante potrebbe essere il contributo dell'ultimo volume
del Prof. Renzo De Felice sulla biografia di Mussolini.
Centro propulsore di ogni attività e quindi, punto fermo
di ogni riferimento e analisi, rimane pur sempre il governo della R.S.I.
presieduto da Mussolini, così come il suo Q.G. che comprendeva la
segreteria particolare, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli enti
collaterali e complementari.
Una serie di organismi concentrati nella zona sud-occidentale
del Garda e in sedi periferiche decentrate, che tra l’ottobre 1943 e l'aprile
1945 operarono con sacrifici e impegni personali per assolvere le specifiche
competenze. Ed è di questo complesso apparato organizzativo della
R.S.I. che vogliamo parlare per illustrare aspetti poco noti; spiegare
la ragioni di un trasferimento e l'impianto di una organizzazione realizzata
a tempo di record, vanto della burocrazia statale italiana del tempo; esaminare
le misure di sicurezza e la protezione del Q.G. del Duce e delle sedi di
governo con le forze predisposte.
Gli eventi che caratterizzarono quei 18 mesi di guerra dura,
spietata, sconvolgente per migliaia di italiani coinvolti volenti o nolenti
nella spirale dell’odio, della vendetta politica, delle uccisioni ingiustificate
sotto il profilo umano e giuridico, sono ancora poco conosciuti.
Evidenzieremo anche aspetti inediti reperiti recentemente da
chi scrive, sì da aggiungere altri tasselli al mosaico storiografico.
Con il rientro in Italia di Mussolini, reduce dai colloqui a
Rastenburg col Fuehrer, a Monaco con i gerarchi fascisti e con i suoi familiari,
un Mussolini ancora frastornato dall'incalzare frenetico di avvenimenti
traumatici succedutisi in breve volgere di tempo (armistizio, fuga del
Re e di Badoglio al sud, scioglimento delle FF.AA., liberazione sul Gran
Sasso ad opera dei Fallschirmjaeger del gen. Student, trasferimento in
Germania) ritorna alla guida di un paese abbandonato a eserciti contrapposti,
non sollecitato da motivi di rivalsa, ma responsabilmente spinto dal dovere
di salvare il salvabile in una situazione tragica.
L'uomo politico che tanto ha amato l'Italia non può abbandonare
il suo incolpevole e infelice popolo in un momento così drammatico.
Per il suo ritorno in Italia, il Fuehrer aveva messo a disposizione
i necessari mezzi di trasporto e di protezione: era il minimo che potevano
fare i tedeschi per garantire con sicurezza il viaggio e la ripresa di
uno Stato dove, in breve volgere di tempo, si erano dissolte tutte le FF.AA.,
dispersi i tradizionali e ormai infidi organi di sicurezza, dove tutto
ancora era da riorganizzare e da recuperare moralmente, dove praticamente
all'infuori di volontari fascisti tutto era abbandonato.
Decollato da Monaco / Riem il 23 settembre con uno Ju. 52, il
Duce trova ad attenderlo sull'aeroporto di Forlì un gruppo di personaggi,
fra i quali Graziani, Ricci, Pavolini e Buffarini Guidi e autorità
tedesche quali Rahn e Wolff.
Per la protezione del cielo, come disposto da Hitler, oltre a
3 caccia ME 109 in quota, un reparto della Flak leggera distaccato dalla
1a Panzer Waffen SS. Div. "Leibstandarte Adolf Hitler", al comando
dello Sturmbannfuehrer Rudolf Lehman, con due sezioni di Einling Flak.
38 da 20/70 montate su semicingolati Sd. Kfz. 251.
Hitler si era preoccupato di garantire al Duce la necessaria
sicurezza durante la sua permanenza alla Rocca delle Caminate e qui il
27 settembre 1943 si tenne il primo consiglio dei ministri per la nomina
dei responsabili del nuovo governo repubblicano fascista. Si dava nuovamente
all’Italia continuità come Stato, come entità nazionale,
come nazione nel nuovo clima di impegno politico - militare con la Germania.
Si trattava, sostanzialmente, di rimettere in funzione l'apparato
statale immobilizzato dagli eventi dell'armistizio e dai 45 giorni di governo
badogliano, per ridare agli italiani nuova fiducia.
In attesa di una costituente da convocare successivamente per
definire gli ordinamenti costituzionali, Mussolini assumeva "pro tempore"
le funzioni di Capo dello Stato fascista repubblicano e di Presidente del
Consiglio dei Ministri. Con decreto in data 1° dicembre 1943 nasceva
la Repubblica Sociale Italiana, abbandonando la specifica connotazione
politica iniziale, per diventare lo stato di tutti gli italiani del centro-nord.
Come sede del nuovo governo si pensò subito a Roma, ma
emersero difficoltà oggettive: lo status di "città aperta"
(peraltro mai riconosciuto dagli alleati), le difficoltà di comunicazioni
per cause belliche, il timore di attirare altri bombardamenti; l'eventualità
di dover successivamente abbandonare la città favorendo la propaganda
nemica, consigliavano di trovare un'altra soluzione (soluzione che non
impedì agli alleati, nei mesi successivi, di attaccare dal cielo
Roma e di causare altri morti e distruzioni). Difficoltà insorsero
anche nella scelta sostitutiva della sede del nuovo governo. Si fecero
al riguardo varie ipotesi: Milano, Torino, Brescia, Mantova, Firenze ma
su tutte prevalse la potenziale minaccia dal cielo e le conseguenze che
si erano paventate per Roma (Milano e Torino erano già state pesantemente
bombardate nell’estate con gravi distruzioni e migliaia di vittime, su
richiesta della concentrazione antifascista, come si seppe poi).
Si pensò, quindi, con motivata ragione, di creare una
sede di campagna, consona alla situazione di guerra e allo stato di combattività
operante, che ormai coinvolgeva tutto il territorio del centro-nord Italia,
quotidianamente sottoposto ad attacchi aerei anglo-americani .
Il progetto trovava numerosi consensi ma anche profondi dissensi,
soprattutto per un malinteso condizionamento abitudinario e tradizionale,
connaturato col governo in città.
Ma le esigenze del tempo di guerra premevano e sollecitavano
una sistemazione nuova, diversa da quella tradizionale, forzando anche
i più restii ai trasferimenti.
I problemi per realizzare la nuova soluzione, andavano dalla
disponibilità edilizia burocratica e residenziale, alle strade di
grande comunicazione necessarie per accedervi, ai servizi tecnici, alla
sicurezza, alle infrastrutture indispensabili (magazzini, locali per archivi,
cantieri di lavoro, depositi e autorimesse ecc.). L'ubicazione doveva risultare
equidistante dai centri di primaria importanza nazionale; garantire una
possibile protezione con decentramento e camuffamento ambientale onde confondere
gli obiettivi e assicurare una continuità funzionale in caso di
distruzioni.
Un vero e proprio quartiere generale militare utilizzato per
scopi civili, sociali, giuridici, tecnici atti a garantire l'attività
di governo. La scelta, dopo alcune proposte alternative, cadde sulla zona
sud-occidentale del Garda in provincia di Brescia, che rispondeva in gran
parte alle esigenze: vasta disponibilità di edifici per uffici e
residenze private, ampio decentramento su un allineamento che andava dai
25 ai 40 Km. dall'epicentro ai limiti periferici dell'area interessata,
ottime strade d’importanza nazionale, ferrovie, aeroporti, collocazione
fra Milano, Torino, Genova da una parte; Verona, Venezia dall'altra; comunicazioni
stradali e ferroviarie col Brennero e col centro Italia. Anche i tedeschi,
ugualmente interessati al problema (avrebbero dovuto trovare la sede per
le loro rappresentanze diploma¬ tiche) diedero il loro gradimento facendo
conto che a breve distanza era ubicato il Q.G. dell'H.Gr.B di Rommel a
Cola di Lazise.
A Verona, inoltre, aveva sede il Q.G. del generale plenipotenziario
dell'OKW Rudolph Toussaint, re¬ sponsabile per le retrovie dell'H.Gr.C.
di Kesselring ed era pure il comando del generale plenipotenziario per
la sicurezza interna dell'Italia Obergruppenfuehrer SS Karl Wolff con a
fianco il comando di sicurezza per la regione nordorientale italiana (Gruppenfuehrer
SS Harster) responsabile della zona in cui era ubicata la sede del governo
della R.S.I. Gli ottimi aeroporti di Villafranca Veronese e Ghedi/Montichari,
posti a breve distanza dal Garda, garantivano la utilizzazione del servizio
aereo.
Ai primi di ottobre Mussolini ebbe una prima, esauriente relazione
sulla zona prescelta e pur non condividendo pienamente l'idea del "governo
a sede decentrata", diede il suo assenso di massima per i ne¬
cessari provvedimenti. La Presidenza del Consiglio diramò un ordine
di trasferimento dei vari dicasteri da Roma al nord, predisponendo un piano
generale con inizio al 4 ottobre 1943.
La zona individuata risultava circoscritta sull'allineamento
stradale ferroviario corrente da Brescia a Venezia e comprendeva la SS.
11 "padana superiore", la SS. 45 bis "gardesana occidentale"
e 249 "gardesana orientale", la SS. 12 "Abetone e Brennero",
la linea dorsale ferroviaria ovest-est (da Torino a Venezia), la ferrovia
Verona - Trento Bolzano - Brennero e la Verona Bologna, Padova - Ferrara
per Ancona- Roma.
Le località destinate ad accogliere uffici erano: Sirmione,
Rivoltella, Desenzano, Lonato, Padenghe, Moniga, Manerba, Polpenazze, Soiano,
Calvagese, Muscoline, Gavardo, Villanuova, S. Felice Benaco, Salò,
Gardone, Volciano, Vobarno, Fasano, Toscolano - Maderno, Gargnano, Tignale.
Le sedi di governo decentrate erano: Brescia, Verona, Vicenza, Treviso,
Venezia, Padova, Bergamo, Belluno, Cremona.
I ministeri, enti e comandi da sistemare nella zona, necessari
per il funzionamento del governo, la selezione del materiale da trasferire,
la scelta del personale volontario, incentivato da integrazioni economiche
che aveva optato per seguire il governo al nord, l'apparato tecnico amministrativo
necessario per i servizi (gli uffici rimasti a Roma venivano definiti "staccati")
avevano comportato uno sforzo enorme, dimostrando, almeno una volta, l’efficienza
della burocrazia statale. Centinaia di vagoni ferroviari con carrelli rimorchiati
vennero assegnati a tutti gli enti interessati per caricare a domicilio
il materiale prescelto; poi uno dietro l'altro formarono lunghi convogli
ferroviari che si diressero verso le località di destinazione fra
mille difficoltà: bombardamenti e mitragliamenti, distruzioni e
interruzioni di linee e ponti, mancanza di energia elettrica, ma giunsero
a destinazione almeno nella misura del 90% dei documenti e materiali mentre
andarono perduti incartamenti e scomparvero soprattutto autocarri con materiali.
Lentamente si ricostruirono uffici e divisioni, sezioni e nuclei, servizi
e organi tecnico-amministrativi.
La vita dello Stato riprendeva in ogni settore dell'attività
sociale. Prevaleva insomma forte il senso del dovere fra i suoi dipendenti
e fra i cittadini (basti pensare ai risultati della chiamata alle armi
dei giovani che risposero oltre il 90%); si rafforzava l'autorità,
la disciplina collettiva e il popolo italiano reagiva ai drammatici eventi
del settembre con il lavoro, la laboriosità tipica, la responsabilità.
Naturalmente la valutazione degli avvenimenti non trascurava i segni di
sovvertimento delle coscienze, dovuti alla nefasta opera degli antifascisti
decisi, con i comunisti in testa ad avviare la guerra civile fra gli italiani.
La sistemazione del governo nella fase iniziale risultava così
articolata:
Il problema della sicurezza e protezione del Q.G. del Duce e
della sede del governo, venne affrontato congiuntamente dai responsabili
italiani e tedeschi, ognuno per le rispettive competenze (o collegialmente
per le situazioni in comune, compresa la sicurezza personale del Duce).
Sin dal suo rientro in Italia, Mussolini dovette constatare con
amarezza che non esistevano più le necessarie condizioni di sicurezza
istituzionali e contingenti, che avevano accompagnato fedelmente per vent'anni
la sua quotidiana vita di Capo del Governo: scomparsa la "presidenziale",
dispersi i funzionari addetti, venuta meno la fiducia in taluni uomini
posti a capo di strutture di protezione e persino in un tradizionale Corpo
come l'Arma dei CC., implicata nel nefasto arresto di Muti, un’ombra sul
suo luminoso passato e fonte di pesanti sospetti sui suoi uomini. Non c’erano
più neanche i moschettieri, coreografici ma sostanzialmente inutili,
che per lunghi anni avevano prestato servizio all'interno di Palazzo Venezia:
tutto scomparso, disperso, annientato dall'avvento di Badoglio, dall'armistizio,
dalla paura di compromis¬ sioni ulteriori. Fu gioco forza, almeno nella
fase iniziale, affidarsi alle misure di sicurezza ordinate dal Fuehrer
con gli uomini della sua fedele "Leibstandarte" e al nucleo di
guardia predisposto dal console Fortunato Albonetti, su disposizioni del
generale Renato Ricci e composto da una ventina di fidati legionari.
Il trasferimento del Duce nella nuova sede del governo provocò
alcuni cambiamenti: il nucleo Flak "Lehmann" venne sostituito
dalla 2^ batteria leggera del II° Gruppo Flak della 16a Panzer Grenadieren
Div.Waffen SS "Reichsfuehrer" (l'unità personale di Himmler),
a seguito del trasferimento della 1a Panzer "Adolf Hitler" sul
fronte russo avvenuto a fine ottobre 1943.
La 16a Pz.Gren. era invece rientrata in Italia dalla Corsica,
dove aveva combattuto contro italiani e maquis francesi. La componente
antiaerea risultò più efficiente per un maggior numero di
mitragliere a disposizione (6 tra Flak 38 e 43 da 20 e 37 mm.) con 150
uomini e larga dotazione di automezzi speciali. Rimase invece il nucleo
di sicurezza fornito a suo tempo dalla "Leibstandarte" con il
compito di assicurare anche la protezione delle sedi dell'ambasciata tedesca
sul Garda. Fu necessario costituire un apposito gruppo di protezione e
sicurezza approntato dal Befehlshaber der Sicherheit u. der S.D. Kommando
Italien (Gr. u. Harster) di Verona denominato convenzionalmente "Sicherungskommando
15" (St. Ba. Fu. Zimmer) composto dal "Schutzdienstkommando beim
Duce" (Ob. St. Fu. Schupferling), dalla Sonder 2 Leichte Btr./II Gruppen
Flak (Ha. Stu. Fu. Wamter Esser) dalla 16 Abt. Sanitat (Arzt Grudenz) basata
a Villanuova del Benaco, mentre i due reparti operativi risultavano suddivisi
fra Gargnano, Fasano, Cisano.
Il compito affidato al reparto Flak risultò subito inadeguato
alle sue capacità organiche e operative e fu necessario ampliare
alla consistenza di un gruppo il reparto dotandolo di 8 mitragliere da
20 mm. (Flak 38 e Scotti / I.F.), 2 Vierling Flak 43 (quadrinate) e 9 mitragliere
pesanti Flak 43 da 37 mm con 90 automezzi, 4 semicingolati, 12 vetture
e 15 motocicli con un totale di 423 uomini (8 ufficiali, 59 sottufficiali,
356 graduati e cannonieri fra cui 83 romeni, 24 ungheresi, 4 italiani).
In tal modo con i 130 militi delle Waffen SS e i 50 soldati e infermieri
della sezione Sanità il totale del "Sicherungskommando 15"
raggiungeva la forza di oltre 600 uomini.
A questi era da aggiungere il nucleo di collegamento della Wehrmacht
con il ten. col. S.M. Jandl e il cap. Hoppe (distaccati presso il Q.G.
del Duce dall'OKW) ed un ispettore di polizia (Hauptmann Otto Kisnat) assegnato
per compiti di sovrintendenza ai servizi tedeschi di sicurezza e il ten.
Dickerhoff, designato da Hitler personalmente come ufficiale addetto al
Duce.
C'erano da sorvegliare almeno 15 Km. di lungo lago e fu necessario
predisporre un piano d’intervento (piano di tiro su punti di riferimento),
scegliere i punti dove installare le armi, valutare le quote di gittata
in relazione alle cime dei monti sovrastanti (Pizzocolo m. 1583), Denervo
(1459), Gargnano - Bogliaco - Maderno - Gardone - Salò.
Le posizioni prescelte oltre a quelle strettamente difensive
basate nei pressi di Villa Feltrinelli e Villa delle Orsoline direttamente
sul lungolago (fra cui un Sd.Kfz. 251 con Vierling) comprendevano: S. Felice
del Benaco, Navazzo, Cabiana, Tresnico, Volciano, Cisano, Balbiana, Monte
Castello (quota 868), Monte Corno (quota 150), Sedena (a difesa del campo
di Bettola) e quelle distaccate sul lungolago in punti favorevoli all'impiego
delle armi. La zona era stata suddivisa in tre settori di tiro affidati
ad altrettanti responsabili (U. St. Fu. Togel, Stojka, Kastner). Un reparto
motorizzato d’intervento era disponibile per esigenze d'emergenza con l'appoggio
di un semicingolato con Vierling.
Le misure di sicurezza per la protezione del Duce, una volta
costituito un selezionato reparto di guardia della GNR, furono elaborate
dal segretario particolare Prefetto Giovanni Dolfin in collaborazione col
commissario di P.S. dr. Mancuso, cui era stata affidata la nuova "presidenziale”
e comprendevano la sorveglianza dei locali interni con una trentina di
agenti specializzati e la scorta ravvicinata durante gli spostamenti, mentre
la GNR unitamente alle Waffen SS doveva sorvegliare l'esterno (sorveglianza
militare) e gli ingressi di servizio (in collaborazione con gli agenti
di P.S.). Inoltre pattuglie armate controllavano le zone abitate di Gargnano
in prossimità del lungolago (interdetto in taluni punti), sorvegliavano
gli accessi sulle strade che conducevano al Q.G. con posti di blocco fissi,
mentre difese passive erano state erette con barriere di filo spinato per
tutto il perimetro esterno da sorvegliare.
L'organizzazione di sicurezza italiana risultava più articolata
e complessa di quella tedesca. Oltre alla "Presidenziale" (il
dr. Mancuso venne sostituito più tardi dal console Bigazzi - Capanni
con funzioni di questore) erano disponibili: il Reparto speciale di P.S.
(prefetto dr. Panzera), 1° Btg. di P.S. ( magg. Piccoli) dislocati
tra Vobarno, Toscolano-Maderno, Gavardo; la Legione M "Guardia del
Duce" (col. Fortunato Albonetti, poi ten. col. Attilio Jaculli), il
Nucleo GNR stradale "Scorta del Duce" (brig. Achille Vasconi),
la Centuria motociclisti di scorta (cap. Frisello), il Nucleo scorta Segreteria
PFR, i Nuclei scorta ministeri (cap. Checcucci), stanziati nelle sedi di
Gargnano, Vobarno, Salò, Toscolano- Maderno, Desenzano, Gavardo.
Il reparto auto presidenziale (ten. Brutti) con le vetture personali del
Duce (Alfa Romeo 2500, Lancia "Aprilia"), automezzi da trasporto,
un autocarro protetto.
Alle misure di sicurezza stabilite nella zona erano da aggiungere
quelle periferiche: triangolo d’incontro delle provincie di Brescia, Mantova,
Verona con i reparti dipendenti dai CMP/GNR 613°, 614°, 618°;
quelli delle BB.NN provinciali "Tognù" di Brescia, "Turchetti"
di Mantova, "Rizzardi" di Verona e della B.N. Ministeriale costituita
con impiegati volontari; ed inoltre il Reparto speciale "Bir el Gobi"
con GG.FF. (cap. Filippo Ciolfi) di base a Maderno. Per quanto riguardava
le provenienze più periferiche: il 40° Btg. mobile GNR (magg.
Ciro Di Carlo), dislocato in Val Trompia (massiccio del Caplone, Val Tosco¬
lana, Val D'Ampolla) e il Btg. GNR "Carmelo Borg Pisani" operante
nella bassa Bresciana, direzione Val Sabbia e Val Chiese. Più a
nord, oltre Tignale, la sorveglianza era di pertinenza di reparti tedeschi
considerando che la zona era stata trasformata e attrezzata per la produzione
di materiale bellico (officine protette Alfa Romeo a sud, officine Fiat
sulla Gardesana occidentale, officine Caproni su quella orientale). Un
grandioso arsenale in cui lavoravano non meno di 30.000 operai controllati
dal RUK. Esercito e Marina avevano propri reparti di guardia e sicurezza
fra Desenzano, Manerba, Polpenazze, Lonato, fra cui un reparto corazzato
d’intervento per la difesa del Q.G. del Duce e del vicino campo d'aviazione
di Bettola. L'Aeronautica era presente a Desenzano con il RESBA (Esperienze
e armi) diretto dal prof. ing. Eula col presidio dell'idroscalo (in cui
venivano custoditi fra l'altro gli idrocorsa Macchi del primato di velocità
di Agello, oggi in mostra a Vigna di Valle), col comando per la caccia
dell'ANR a Valeggio sul Mincio, col 2° gruppo CT a Villafranca/ Ghedi
con i rispettivi presidi aeroportuali, col comando AR.CO. ad Affi Veronese
e le batterie del 1° Gruppo (magg. Amerio) schierato sulla sponda orientale
del lago (la 7^ batteria era distaccata a Centenaro vicino Desenzano, con
6 cannoni da 90/53 e armi leggere). Sul campo d'aviazione di Bettola (costruito
dalla Todt a tempo di record per le esigenze del governo della RSI) stazionavano
gli aerei a disposizione del Duce (1 SM. 81, 1 SM. 79, 1 Cant. 506 a Desenzano)
al comando del cap. Giuseppe Boni (piloti ten. Mario Sartini e m.llo De
Preto) e vi operò per un certo periodo la squd. complementare aerosiluranti
(cap. Dante Magagnoli) con trimotori SM 79.
La zona era dunque ben protetta e vigilata da non meno di 6/7000
uomini fra italiani e tedeschi, da batterie antiaeree, aerei da caccia,
reparti mobili d’intervento e posti fissi di controllo.
Le segnalazioni di allarme aereo, molto frequenti nella zona
strategica del Garda, venivano attivate su indicazione della rete di avvistamento
generale della Luftwaffe (Hauptblickrichtung) e passate alla centrale operativa
di zona (nome convenzionale "Blumenkohl"), allo Ja. Fu. (Comando
guida caccia tattico) di Custoza (nominativo convenzionale "Brunelle")
che utilizzava le postazioni radar (Funkmessgerate) "Margot"
di Rivoli Veronese e "Martha" di Mormirolo Mantovano. Lo Ja.
Fu. decideva, a seconda della segnalazione ricevuta, se far decollare i
caccia italiani di Villafranca e Ghedi. Seguiva l'evoluzione tattica dello
scontro inviando via radio con frasario convenzionale ai piloti i movimenti
nemici, la consistenza delle formazioni, la quota e la provenienza; veniva
attivato anche l'allarme per la Flak e ordinato il fuoco alle postazioni
italo - tedesche di zona (la Flak del Q.G. del Duce interveniva a bassa
e media quota).
Al segnale d'allarme il personale e le popolazioni si recavano
nei rifugi predisposti ovunque; i reparti di protezione rimanevano vigili
in attesa di segnalazioni (caduta di aerei nemici, paracadute avvistati,
minacce di lanci, ecc.).
La protezione del Q.G. di Gargnano si articolava sul servizio
svolto dalla "Guardia del Duce" su due battaglioni: 1° (cap.
Carlo Ragno poi magg. Raffaele Caronti) dislocato a Bogliaco; 2° (cap.
Calogero Mingoia) a Salò con distaccamenti a Gargnano e Tremosine.
La struttura dei reparti comprendeva la Cp. "Atene" (cap. Barocci)
con personale proveniente dalla Grecia, la Cp. Forestale (cap. Di Rienzo
poi ten. Pasquale Filigheddu), la Cp. Confinaria (cap. Colalillo), la Cp.
"Pesaro" (cap. Pierluca poi ten. Mauro Demetrio), la Cp. speciale
investigativa (ten. Dante Giannotti) e il Nucleo Servizi Speciali presso
la SPD (ten. Meloni). La Legione aveva un organico di circa 750 uomini
con 40 ufficiali, 75 sottufficiali e 670 graduati e legionari.
Il servizio di guardia alla Villa delle Orsoline veniva svolto
su 5 punti esterni di controllo affidati congiuntamente a militari italiani
e tedeschi, con rigide consegne di servizio: impedire a chiunque di avvicinarsi
alla villa ed in particolare al parco macchine di servizio, controllare
il traffico automobilistico, massima sorveglianza durante gli allarmi aerei
nei punti più vulnerabili sul lungolago.
Il servizio interno svolto dagli agenti di P.S. prevedeva il
controllo dei visitatori, la loro identificazione, i motivi della visita
e lo smistamento attraverso gli uscieri ai singoli funzionari di servizio,
oppure alla Segreteria particolare o a quella politica, per poi essere
ammessi alla presenza del Duce.
Il funzionamento del Q.G. si imperniava sulla Segreteria particolare
(dr. Dolfin poi dr. Ugo Cellai) con i funzionari dottori Piero Brembati,
Ruggero Rizzoli ed Emilio Bigazzi - Capanni; la Segreteria politica (poi
disciolta) era invece affidata a Vittorio Mussolini coadiuvato dal cugino
Vito e dal conte Vanni Teodorani, da Renato Tassinari, Domenico Musti De
Gennaro, Orio Ruberti ed altri. Una trentina di funzionari minori, impiegati,
uscieri e personale di servizio completavano l'organico del Q.G. e fra
questi: Lamberto Navarra, Mario Marotta, Werter Sammaritano, Giuseppe De
Salva, Eraldo Monzeglio (famoso calciatore), Umberto Buvoli, Cesare Rocca,
Francesco Vikoler e alcuni addetti già in servizio a Palazzo Venezia
(Ridolfi, Apriliti, Cesarotti).
Nella villa vi erano alloggi di servizio usufruiti dal medico
dr. Zachariae (assegnato dal prof. Morell, medico di fiducia del Fuehrer),
dal dr. Baldini (aiuto del prof. Frugoni), da un massaggiatore. L'orario
di lavoro del Duce iniziava alle ore 08.45 e si prolungava sino alle 14.30;
poi, dopo una breve pausa pomeridiana, riprendeva alle 16 e arrivava sino
alle 21 (l'appannaggio fissato al Duce dallo Stato in L. 125.000 mensili
venne rifiutato e sostituito con una indennità fissata dal Duce
stesso in L. 12.500 mensili. Era l’equivalente dello stipendio di un funzionario
di 1a classe, appena superiore di 2/3 alla paga percepita da chi scrive
come ufficiale subalterno - nda).La guardia d'onore era stata abolita dal
Duce per evitare ripetute formalità: schieramenti, present'armi,
onori di rango, squilli di tromba. Tutto ridotto al minimo.La giornata
iniziava con le novità "mattinali" portate da Dolfin,
seguivano consultazioni di servizio, l’esposizione della situazione militare
aggiornata da parte del col. Jandl (o del cap. Hoppe), colloqui con i visitatori.
Le comunicazioni radio-telefoniche avvenivano inizialmente attraverso una
rete telefonica militare riservata, collegata con tutte le città
della R.S.I. migliorata in seguito con la cessione di altri circuiti radio-telegrafici
da parte del gen. Maltzer, responsabile della Militar Verwaltung e con
l'installazione di nuovi circuiti telegrafici-telefonici ad uso esclusivo
del governo della R.S.I. per il traffico di stato da parte dell'ASST (ing.
Baldini) e dell'Italcable (dr. Riccioni), con l'attività generalizzata
della rete a diramazione Weastone per le comunicazioni di Stato ed infine,
con chiara dimostrazione di capacità tecnica, con l'attivazione
di una speciale rete telefonica interurbana automatica con ponti radio
e centrale di commutazione e amplificazione a Monte Baldo (sponda veronese).
I servizi di comunicazione del Q.G. erano collegati con quelli
tedeschi dell'H.Gr. C (maresciallo Kesselring) e con quelli del comando
Polizia di sicurezza Italien (O. Gr. Fu. Wolff) per le conversazioni dirette
in Germania. Un' altro importante aspetto del funzionamento del governo
R.S.I.
Gli eventi che si succedettero a decorrere dall’ottobre 1943
furono molteplici, buoni o cattivi a seconda delle circostanze. Seguiamoli.
Il 5 ottobre 1943 Mussolini sapeva già che il governo si sarebbe
trasferito sul Garda. Numerosi sintomi stavano a provarlo e a convincerlo.
Il 9 ottobre partiva dalla Rocca delle Caminate e con autocolonna
scortata si portava a Gargnano, priva di indicazioni specifiche, anonima
come tante altre cittadine lacustri circostanti, salvaguardata con grande
riservatezza per motivi di sicurezza.
Le sue prime parole dopo la visita di prammatica a Villa delle
Orsoline furono: "...mi sembra un luogo lugubre ed ostile", forse
ancor più appesantite dalla triste e grigia giornata autunnale incontrata.
Una impressione negativa che non lo abbandonerà più.
Propose di trovare un’altra soluzione, e si ventilò il
castello di Montichiari vicino Ghedi, una villa nei dintorni di Valeggio,
un’altra nei pressi di Mantova, un’altra ancora a S. Martino Buonalbergo
(villa Acquarone) tutte ipotesi scartate per motivi varii.
Alla non lusinghiera impressione di Mussolini al primo impatto
col Garda, seguirono freneticamente gli arrivi da Roma dei ministeri, del
personale dipendente, dei materiali d'ufficio e il dovere prevalse sui
sentimenti personali. A novembre la struttura burocratica di campagna organizzata
al Nord era una concreta realtà: funzionava di nuovo lo Stato, funzionavano
gli enti periferici e quelli distaccati dai vari ministeri. Sembrava un
miracolo ma era invece la semplice verità, ed è doveroso
ricordarlo. Era nata una rinnovata volontà in tutti, il desiderio
collettivo di ripresa, un incredibile entusiasmo: l'armistizio era ormai
alle spalle!
Il 4 novembre, a governo ormai sistemato, Mussolini decollava
da Ghedi pilotando uno Ju. 52 diretto a Forlì, ancora una volta
preso dalla nostalgia della Rocca. Fu il suo ultimo volo come pilota.
Seguirono altri viaggi fra cui l'ultimo alla Rocca, in agosto,
nel corso di una spedizione alla linea "Gotica" sull'itinerario:
Pesaro, Sassocorvaro (visita alla "Tagliamento"), Castrocaro
(visita al Btg."9 settembre"), visita di cortesia al Q.G. del
generale Witthoft a Rimini, impegnato a contenere gli alleati fra Coriano
e Misano (a brevissima distanza dal fronte) e poi Bologna, Parma (visita
al Q.G. di Kesselring) e incontro col maresciallo Graziani e il generale
Ricci, traghetto del Po a Torricello e rientro a Gargnano.
In precedenza vi erano stati i viaggi in Germania, a Monza, Brescia,
Mantova e poi ancora a fine anno a Milano per il memorabile discorso al
Lirico: un tuffo nell’onda dei sentimenti al rinnovato contatto col popolo.
Vi furono nella zona sporadici atti ad opera di partigiani, di nessuna
importanza, circoscritti ad alcuni attentati a persone, pochi danni per
sabotaggi elementari. L'episodio di maggior rilievo fu l'uccisione in Val
Camonica dell'ex segretario particolare del Duce comm. Osvaldo Sebastiani
ad opera di ribelli (un figlio guardiamarina era morto a Nettuno col Btg.
"Barbarigo") e l'uccisione il 22 marzo '45 di due legionari della
Guardia del Duce in servizio all’ospedale di Salò.
I pericoli maggiori vennero invece dall'aviazione alleata con
i continui attacchi aerei nella zona del Garda, soprattutto con caccia
bombardieri: e particolarmente colpito il Ponte S. Marco (viadotto fer¬
roviario), segnalato dalla resistenza bresciana, che inviava via radio
(solitamente in consegna al clero) le coordinate con frasi convenzionali
a radio Bari, seguito dal solito bombardamento, di solito con innocenti
vittime civili.
Vi furono 98 attacchi fra Ponte S. Marco e Desenzano, 87 a Rovato,
39 a Lonato con mitragliamenti, 8 gli attacchi a Gargnano fatti per dimostrazione,
5 a Salò e 3 a Manerba, Padenghe, Gavardo (51 i morti e un centinaio
i feriti), Vobarno, Toscolano - Maderno con un totale di 67 morti fra civili
e militari. Il 16 novembre attacco terroristico al piroscafo "Zanardelli"
con 13 morti e 40 feriti, e poi decine di altri attacchi isolati con numerose
vittime.
Fra i morti più noti il ministro Giuseppe Tassinari, mitragliato
vicino Salò; il generale della GNR Giuseppe Volante (comandante
della Div. "Etna"), mitragliato da "Thunderbolt" vicino
Sirmione.
Con lui morivano il s. ten Marcello Morini, l’autista milite
Silvano Tarolli e rimanevano feriti il figlio Sandro Volante e il legionario
Guglielmo Alfano. Mitragliata anche la macchina di Buffarini Guidi con
la morte dell'autista; colpita da bombe l'ambasciata tedesca a Fasano (Villa
Bassetti) con morti e feriti.
Anche Mussolini corse un serio pericolo il giorno 11 marzo '45
mentre si dirigeva da Gargnano a Castiglione delle Stiviere per una ispezione
alla locale B.N. "Turchetti". Il piccolo corteo di macchine (6/7
vetture fra italiane e tedesche) veniva avvistato da caccia USA che mitragliavano
le prime vetture incendiandone tre e uccidendo il ten. SS Schupferling
(verrà sostituito dall'Obersturmfuehrer Birzer che abbandonerà
il Duce a Como in aprile).Si salvava invece Wolff che all'epoca già
cospirava per tradire il suo Fuehrer e lo stesso Mussolini.
L'autista del Duce - Giuseppe Cesarotti - intuito il pericolo,
sterzava di colpo infilandosi nel cortile di una casa colonica in località
Staffolina, salvando in tal modo Mussolini, il col. Casalinuovo, ufficiale
d'ordinanza del Duce e se stesso. Mussolini parlava con i contadini accorsi,
riconosciuto e festeggiato per lo scampato pericolo, mentre sulla strada
finivano di bruciare le macchine tedesche della scorta.
Il pericolo maggiore sulle sorti del governo della R.S.I., si
ebbe il 14 febbraio 1944 allorché una grande formazione di quadrimotori
USA, divisa in tre colonne, circuitò sul basso Garda a grande altezza
per circa mezz'ora, quasi cercando fra Peschiera e Gargnano uno specifico
obiettivo, un particolare bersa¬ glio da attaccare. Fu un momento di
emozione fino a quando 160 bombardieri, riunitisi in due grandi co¬
lonne, diressero rispettivamente su Verona e Brescia, che furono pesantemente
attaccate con grandi distru¬ zioni e centinaia di vittime fra la popolazione.
A Verona andò distrutta la sede del Ministero delle Poste (palazzo
De Lisea e palazzo Canossa). Un avvertimento, un chiaro segno di potenza,
un deterrente psico¬ logico? Non sappiamo. Di sicuro un bombardamento
effettuato con così grande schieramento di forza avrebbe causato
pesanti distruzioni.
Non mancarono sul basso Garda i combattimenti aerei fra caccia
italiani e alleati e numerosi furono gli aerei abbattuti che caddero nelle
azzurre acque del Benaco. Morirono con i loro Messerchmitt i tenenti Enrico
Canavese e Tiberio Biasi; i s.m. Domenico Balduzzo e Giuseppe Chiussi del
1° e 2° Gruppo Caccia dell'ANR. Si salvò col paracadute,
pur ferito agli occhi, il maggiore Adriano Visconti - comandante del 1°
Gruppo CT. abbattuto durante un violento scontro con "Thunderbolt"
americani nel mese di marzo 1945. Cadde vicino Tignale. Fu l'asso italiano
nella 2a Guerra Mondiale con 26 abbattimenti. Doveva morire il mese successivo,
ucciso a tradimento con una raffica alle spalle dei partigiani in una caserma
di Milano. L'ultimo aereo americano abbattuto dalla contraerea precipitò
nel Garda davanti a Sirmione il 14 aprile 1945.
Il giorno prima, 13 aprile, Mussolini aveva dato disposizioni
per trasferire il governo della R.S.I. a Milano. Il corso degli eventi
stava maturando precipitosamente e la tragedia stava per abbattersi sulla
R.S.I. Questa volta a tradirlo erano stati i tedeschi, invertendo le parti
di una regia che Badoglio aveva insegnato.
Pochi giorni prima, nella villa Besana di Fasano, sua residenza
privata l'Obergruppenfuehrer Karl Wolff aveva ospitato segretamente il
barone Parrilli, delegato e intermediario del C.L.N. per un accordo segreto
di resa fra tedeschi e anglo - americani.
Nello stesso tempo Wolff, insieme con il nuovo comandante del
Gruppo d'armate C generale von Vietinghoff, era stato ricevuto al Q.G.
del Duce a Gargnano, rinnovandogli la volontà tedesca di battersi
“sino alla vittoria”. Tradimento e menzogna.
STORIA VERITA’ n. 3/4 Agosto-Settembre/Ottobre-Novembre 1991
(Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)